La recente sentenza del Trib. Torino 7.5.2018 n. 778, una delle prime prese di posizione della giurisprudenza di merito, dopo il così detto Jobs Act del Governo Renzi, rafforza la tesi prevalente dell’infondatezza dei timori che avevano indotto gli operatori a ridurre nella pratica il ricorso alle collaborazioni coordinate e continuative dal 2016.
Dobbiamo naturalmente aspettare che detta interpretazione sia confermata dalla giurisprudenza di legittimità ma è stato fatto un passo in avanti.
L’interpretazione letterale e rigida della disposizione di legge oggi vigente dell’art. 2 del DLgs. 81/2015, con il quale il legislatore del Jobs Act ha stabilito che “a far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro” deve essere applicata con riferimento alle modalità di esecuzione della prestazione organizzate dal committente “anche” con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro. Ne consegue che, per riconoscere il carattere subordinato della prestazione lavorativa, e quindi escludere l'esistenza di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, il lavoratore deve essere pur sempre sottoposto a quel potere direttivo e organizzativo del datore di lavoro che caratterizza il vincolo di subordinazione di cui all’art. 2094 c.c., che ha addirittura una portata più ampia rispetto alla disposizione contenuta nel DLgs. 81/2015. Diversamente se così non é, quindi se il collaboratore è libero di organizzare il suo lavoro, seppure tenendo conto delle direttive ed esigenze aziendali, anche secondo il Tribunale di Torino le collaborazioni coordinate e continuative sarebbero consentite e possibili.
E’ interessante la parte delle sentenza in commento quando sostiene che anche se era forse nelle intenzioni del legislatore ampliare l’ambito della subordinazione, “la disposizione di cui all’art. 2 del Jobs Act non ha un contenuto capace di produrre nuovi effetti giuridici sul piano della disciplina applicabile alle diverse tipologie di rapporti di lavoro”. La stessa sentenza sottolinea, in modo condivisibile, come da un lato il DLgs. 81/2015 nulla avrebbe innovato nella distinzione tra subordinazione e coordinamento, mentre dall’altro, con l’abrogazione ad opera dell’art. 52 delle disposizioni sul progetto, avrebbe eliminato un ostacolo all’utilizzo dell’istituto. Le collaborazioni coordinate e continuative, senza dover indicare un progetto come eravamo invece obbligati a fare prima del Jobs Act, secondo i giudici torinesi, sarebbero quindi ancora consentite.
Naturalmente l’autonomia organizzativa che deve avere il collaboratore e che consente di continuare a stipulare contratti di collaborazione coordinata e continuativa, deve essere analizzata da varie angolature, deve essere reale e non solo formale. Non è quindi sufficiente che il contratto preveda l’assenza di direttive organizzative vincolanti del committente ma è necessario che realmente il collaboratore abbia la sua autonomia organizzativa anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.
14 maggio 2018 – Marco Prestileo