Una volta esisteva il segreto bancario, a tutela della propria sfera privata e della riservatezza patrimoniale, che è stato abbattuto in conseguenza dell’uso improprio che di questo scudo facevano i grandi evasori fiscali e più in generale i criminali.

Da tempo si era compreso che seguendo i soldi si poteva arrivare ai mandanti di comportamenti illeciti e quindi si era compreso che il segreto bancario era una tutela che doveva essere giustamente sacrificata a fronte di una necessità maggiore, quella di combattere ad esempio la criminalità organizzata, il terrorismo e il traffico della droga. Nulla da eccepire, credo che nessuno abbia mai messo in discussione che il segreto bancario, in queste e altre circostanze, potesse essere superato per perseguire questi e altri crimini odiosi a tutela e rispetto della legalità.

Sulla base di questa spinta, anche emotiva, però, con qualche calcolo di convenienza e nell’illusione che verificare i movimenti bancari potesse servire a combattere anche i grandi evasori fiscali, il solido muro del segreto bancario si è pian piano sgretolato, cadendo del tutto dal 2011 al 2014. Oggi le indagini bancarie (rectius: finanziarie) sono usate con molta disinvoltura anche per le verifiche fiscali dei piccoli commercianti, artigiani o professionisti. Sono principalmente usate, purtroppo, per i soggetti più deboli, le piccole imprese o i piccoli professionisti che non hanno una buona organizzazione contabile e che non posso permettersi di pagare bravi commercialisti o avvocati. Il grande evasore è infatti in grado di “organizzarsi” con strutture societarie articolate e che coinvolgono diversi paesi, con movimenti finanziari strutturati e che mirano a spostare gli utili tassabili in paesi con una bassa imposizione fiscale, verificabili con altri strumenti (transfer princing o dissimulazione di residenze fiscali estere o l’individuazione di stabilii organizzazioni occulte, ecc.).

L’abuso dello strumento delle indagini finanziarie raggiunge il culmine quando a rimetterci sono anche i familiari dei soggetti verificati. Infatti con un uso spesso improprio di questo strumento accertativo si estendono le indagini finanziarie anche ai conti correnti dei congiunti e figli o altri familiari con la motivazione, spesso non basata neanche su valide presunzioni e quindi abusando del mezzo accertativo, che ci possa essere un uso improprio del conto corrente del familiare da parte del soggetto accertato.  Secondo le linee guida della stessa Guardia di Finanza l’estensione a terzi delle indagini finanziarie è certamente legittima ma resta subordinata alla sussistenza di elementi indiziari che lascino presumere ipotesi di fittizia intestazione. Al riguardo, la Corte di Cassazione ha chiarito che le indagini finanziarie possano essere estese:

- al coniuge del contribuente, sulla base della mera sussistenza del rapporto familiare (Cass., Sez. V, 30 novembre 2012, n. 21420);

- agli altri congiunti, sempre che venga dimostrata l’ingerenza degli stessi nell’attività aziendale o che l'intestazione a terzi sia fittizia (Cass., Sez. V, 23 luglio 2010, nn. 17387 e 17390);

- ai soci, amministratori o procuratori generali di società di persone e a ristretta base azionaria, quando risulti provata, anche tramite presunzioni, la sostanziale riferibilità dei conti alla società sottoposta ad ispezione (ex tantis, Cass., Sez. VI, 14 ottobre 2016, n. 20849 e Cass., Sez. V, 11 marzo 2016, n. 4788, con riferimento alle società di capitali, nonché Cass., Sez. V, 27 gennaio 2016, n. 1464, con riguardo alle società di persone).

Nella prassi l’abuso dell’estensione delle indagini finanziarie a soggetti familiari è invece molto diffuso, gli accertatori considerano quasi sempre esistenti le presunzioni di cui sopra, anche se in realtà così non è, contando sulla circostanza che l’autorizzazione a procedere, senza la quale l’intero accertamento sarebbe annullabile, viene concessa direttamente dai superiori degli stessi accertatori (comandante regionale della guardia di finanza o direttore regionale dell’agenzia delle entrate). Per di più l’autorizzazione non deve essere esibita all’accertato, non è soggetta a verifica e non è contestabile la motivazione (che potrebbe essere pretestuosa) che la sorregge!

Quindi il cittadino dipende dalla correttezza e buona fede del verificatore (spesso ma non sempre ben riposta). Le conseguenze poi dipendono dalla capacità del soggetto accertato, magari dopo anni, di riuscire a ricostruire i suoi movimenti finanziari e a giustificarli adeguatamente. La prova che viene richiesta è spesso diabolica da dare, come ad esempio quando il contribuente deve giustificare un determinato pagamento che si riferisce ad una spesa familiare/personale di cui non ha la fattura, perché non prevista per legge trattandosi di una spesa sostenuta nella sfera privata.

La prova che viene richiesta all’accertato, a distanza di anni, è quella di documentare tutti i versamenti eseguiti ma anche il motivo di tutti prelevamenti bancari, pena considerare gli stessi come ricavi occulti non tassati. Si avete capito bene, una spesa non documentata si trasforma in un incasso tassabile. Quindi se nel 2015 avete prelevato con il bancomat euro 500 per esigenze personali, essendo richiesta la prova diabolica di documentare come sono stati spesi, i 500 euro diventavano un reddito tassabile! Assurdo ma purtroppo è la realtà, al punto che il legislatore finalmente a dicembre 2016 si è accorto dell’aberrazione che si stava perpetrando a danno di cittadini onesti, e che si è perpetrata per un decennio almeno, è con il D.L. 193/2016 ha precisato che la presunzione scatta “per importi superiori a euro 1.000 giornalieri e, comunque, a euro 5.000 mensili”.

Naturalmente successivamente si è aperta la solita disputa interpretativa, ancora in corso, sul significato da dare alla novella. E’ retroattiva? L’Agenzia delle entrate, essendo una norma a favore del contribuente, in telefisco 2017 ha sostenuto di no, ma la risposta non aveva molto senso anche perché in un’identica occasione, questa volta favorevole al Fisco, aveva sostenuto il contrario.  Ma i dubbi sono stati molti altri. Se il prelievo da giustificare è di euro 1200, devo giustificare tutto l’importo o solo l’eccedenza rispetto a 1000 euro, cioè solo 200 euro? Se sono stati fatti tre prelievi in un mese da euro 1500 cadauno, per un totale di euro 4500, quindi sotto i 5000 euro al mese, devono essere giustificati i prelievi giornalieri? E così via, con tanti altri dubbi interpretativi.

Avremo modo di precisare magari in un prossimo articolo, posso anticipare che la Commissione tributaria provinciale di Imperia, quindi solo in primo grado, su un mio ricorso a difesa di un contribuente colpito da un accertamento bancario, ha riconosciuto l’applicazione retroattività della norma, dando ragione al contribuente.

L’abuso dell’utilizzo di questo strumento accertativo comunque rimane. Concordo sull’utilizzo degli accertamenti bancari, quando necessari per combattere la criminalità e sconfiggere le illegalità, non posso concordare però sull’abuso del mezzo, non posso concordare sull’uso quasi discrezionale dello stesso, un uso pericoloso, dispendioso per le casse dello Stato e ingiusto. Un uso che può rovinare un piccolo contribuente solo perché disorganizzato e non ben difeso.

9 giugno 2018 – Marco Prestileo

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